A cura del dott. Ettore Tramontelli
Spesso i nostri clienti ci chiedono delucidazioni in merito al contratto di mandato per il compimento delle attività di impresa.
A questo proposito cerchiamo di fare chiarezza sulle regole, le deroghe e le facoltà.
Che cosa è un mandato?
Partiamo innanzitutto dallo specificare come viene definito nel codice civile.
Il mandato è il contratto col quale una parte (mandatario o gestore) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra (mandante o gerito). Il negozio compiuto dal mandatario in esecuzione dell’incarico prende il nome di negozio gestorio.
E’ un negozio annoverabile nella categoria dei contratti di cooperazione nell’altrui attività giuridica.
Perché si abbia un mandato sono necessari i seguenti requisiti:
- la parte mandataria deve curare un interesse altrui. Esiste anche una particolare figura di mandato che è il mandato conferito nell’interesse del mandatario (cosiddetto mandato in rem propriam), ma secondo l’opinione prevalente in tal caso si è fuori dallo schema tipico del mandato;
- in virtù del contratto il mandatario deve avere un vero e proprio obbligo di curare l’affare altrui; in caso contrario si avrebbe uno di quei rapporti che vengono chiamati autorizzazione a gestire, oppure un mandato di cortesia;
- l’attività del mandatario deve consistere nel compimento di atti giuridici;
- l’attività svolta dal mandatario deve essere tale da implicare contatti con terze parti;
- l’attività compiuta dal mandatario deve essere tale che avrebbe potuto svolgerla anche il mandante stesso. Se il mandatario svolge un’attività che il mandante non è astrattamente in grado di svolgere si rientrerebbe nella diversa figura del contratto d’opera (si pensi alla prestazione di un avvocato).
Bisogna precisare che la prestazione che resta imputata al mandatario, non necessariamente deve estrinsecarsi nel compimento di negozi giuridici.
Si ritiene, infatti, che il mandatario possa compiere atti volontari non negoziali, muniti di una rilevanza giuridica esterna, i quali rimangano diretti alla definizione e al correlato regolare adempimento di contratti tra le parti.
Un esempio di attività al tal proposito potrebbero essere:
- il reperimento dei fornitori;
- la verifica della qualità della merce;
- l’autorizzazione di pagamenti.
Il mandato per il compimento delle attività d’impresa
Oltre alla gestione, altra forma di sostituzione da un soggetto a un altro è la rappresentanza.
Il rappresentante compie atti giuridici in nome del rappresentato.
Si possono avere mandati:
- senza rappresentanza: il mandatario agisce in nome proprio; è autore del contratto e destinatario degli effetti economici e giuridici, l’interessato effettivo rimane nascosto al terzo contraente. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Non ha forma solenne, ma forma scritta se l’oggetto del contratto è l’alienazione di acquisto di beni immobili o negozi formali;
- con rappresentanza: il mandante appare e diventa parte del contratto, conferendo al mandatario la procura. Non ha una forma particolare, è prevista solo la forma scritta per la procura.
Il mandato conferito per il compimento di atti inerenti l’esercizio dell’impresa, in deroga alle disposizioni generali, non si estingue ai sensi della relativa disposizione recata dal c.c. (art. 1722 c.c.), qualora si abbia continuazione nell’esercizio di essa.
La stessa disposizione fa comunque salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi, ma solo casi in cui si abbia il verificarsi della morte, interdizione o inabilitazione del mandante-imprenditore.
Il punto rimane argomentato sul presupposto che, per la cessazione della fisica possibilità dell’esecuzione del mandato da parte del soggetto sul quale il mandante aveva riposto la propria fiducia, resta escluso che possa imporsi al mandante di nutrire quella stessa fiducia nei confronti di coloro che siano eredi del mandatario.
In altri termini, perciò, l’eccezione all’estinzione del mandato per morte, interdizione o inabilitazione del mandante o del mandatario, qualora il mandato abbia per oggetto il compimento appunto di atti relativi all’esercizio dell’impresa, si ritiene trovi luogo per essere applicata, solamente per l’ipotesi di morte del mandante che sia anche imprenditore.
La deroga non trova estensione all’estinzione del mandato per morte del mandatario, in quanto secondo l’avviso, il quale trova riscontro negli stessi lavori preparatori (Rel. n. 716), alla base della designazione del mandatario, si pone sempre la fiducia nella persona designata.
Sintetizzando quanto detto poc’anzi:
- la regola: il mandato si estingue a causa della morte, dell’interdizione o dell’inabilitazione del mandante o del mandatario;
- la deroga: il mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa non si estingue, se l’esercizio dell’impresa è continuato.
- la facoltà: resta salvo che il mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa non si estingue, se l’esercizio dell’impresa è continuato.
L’amministratore di società di capitali
Gli amministratori hanno un potere generale di rappresentanza della società ad essi attribuito dall’atto costitutivo o dallo statuto (art. 2384 c.c.).
Il codice civile non definisce in via generale le funzioni degli amministratori, ma indica tutta una serie di specifici obblighi in relazione a singole vicende della società, limitandosi a dettare il principio secondo cui gli amministratori sono tenuti ad adempiere gli obblighi ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze come previsto dall’art. 2392 c.c. comma 1.
La questione della natura giuridica del rapporto che lega gli amministratori alla società è tuttora oggetto di un forte dibattito sia nella dottrina che nella giurisprudenza. Si può ritenere superata la posizione dottrinale che assimilava tale rapporto al mandato, ricostruzione risalente alla definizione dettata nell’allora codice del commercio. Riferimento ormai tolto nell’attuale art. 2392 codice civile con la riforma del diritto societario. Gli amministratori possono operare scelte gestorie, finalizzate alla preservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Su di essi grava quindi l’onere dell’osservanza delle regole, anche di ordine tecnico, concernenti la corretta gestione non limitandosi a porre in essere dei semplici atti giuridici. Per certi versi la sua attività può assimilarsi a quella dell’imprenditore.
Certamente però possiamo affermare che il rapporto tra la società ed il suo amministratore è contrattuale anche se autorevole dottrina ritiene che i poteri degli amministratori sarebbero “originari” in quanto derivanti direttamente dal contratto di società del quale gli amministratori sarebbero necessari organi di esecuzione (Galgano).
La giurisprudenza della Suprema Corte non sembra condividere tale impostazione affermando da un lato che tra la società e gli amministratori sussiste un rapporto obbligatorio avente da un lato la prestazione d’opera e, dall’altro la corresponsione di un compenso.
In altre sentenze la Suprema Corte ha affermato che trattasi di contratto di lavoro parasubordinato, alla luce del fatto che l’attività dell’amministratore è pur sempre un’attività continua, coordinata e prevalentemente personale. Ne consegue che le controversie fra l’amministratore e la società sono demandata al Giudice del lavoro.
Peraltro l’azione sociale di responsabilità dell’amministratore di società di capitali si configura quale azione risarcitoria di natura contrattuale, discendente dal rapporto che lega gli stessi amministratori alla società e finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale, in conseguenza del depauperamento di esso causato appunto dagli effetti dannosi delle condotte (dolose o colpose) operate dagli amministratori, in violazione degli obblighi su di essi gravanti in base alla legge e alle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero al generale obbligo di vigilanza e di intervento preventivo e successivo.
La società, perciò, resta chiamata ad allegare le violazioni nelle quali l’amministratore sia incorso, prestando la prova del danno, nonché del nesso di causalità tra la violazione e il danno. Agli amministratori, spetta, invece, fornire la prova, con riguardo agli addebiti loro contestati, del rispetto dei doveri loro imposti dalla norma.
Dunque, agli amministratori di società di capitali è richiesta non una diligenza generica riferibile al mandatario, tipizzata questa nella figura dell’uomo medio, sibbene quella ricavabile dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze: si tratta, cioè, della speciale diligenza statuita dalla disposizione normativa (ex art. 1176 c. 2 c.c.) per il professionista.
È poi pacifica la distinzione delle due previsioni (ex artt. 2476 e 2043 c.c.) applicabili agli amministratori di società di capitali in materia di responsabilità da illecito extracontrattuale.
Si tratta di due azioni il cui esperimento è consentito in via alternativa, in relazione alla riconducibilità, oppure non, dell’atto lesivo all’attività gestoria svolta.
Pertanto, la realizzazione di atti dai quali derivi danno diretto ai soci oppure ai terzi, postula – per l’amministratore che li ha posti in essere – il doverne rispondere (ex art. 2476 c.c.); egli, invece, risponde ai sensi della diversa norma (ex art. 2043 c.c.) con riguardo all’ipotesi di compimento di un fatto ovvero di un evento, il quale sia di natura commissiva od omissiva, derivante non dall’effettuazione dell’attività di gestione, ma concretato in occasione di essa, anche se riconducibile fuori delle incombenze che assistono il ruolo di amministratore.
L’esercizio dell’azione individuale del socio e di quella del terzo nei riguardi dell’amministratore di società di capitali, si è ritenuto non trovasse luogo per essere esperibile allorché il danno lamentato rappresenti il solo riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale. Conclusione, questa, argomentata alla luce del dato positivo (ex art. 2395 c.c.), il quale esige che il singolo socio oppure il terzo abbia sofferto un danno diretto dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, laddove il diritto alla conservazione del patrimonio sociale è proprio della sola società.
All’amministratore, in ultimo, rimane dato rivolgersi al giudice ai fini della determinazione, anche in via equitativa, del relativo compenso, allorché difetti una disposizione dell’atto costitutivo e l’assemblea non provveda oppure vi provveda determinando una misura inadeguata.
A tal fine, tuttavia, rimane necessario che l’amministratore presti la prova sia della quantità sia della qualità delle sue prestazioni in concreto effettivamente eseguite.
L’amministratore di società di persone
Nelle società di persone l’attività di amministrazione è inerente alla qualità di socio, dato che vi è una naturale immedesimazione tra la persona del socio e l’attività di gestione, come del resto vi è una naturale coincidenza tra l’assunzione del rischio d’impresa e il potere di direzione di essa, diversamente da quanto avviene nelle società di capitale dove in genere l’attività di amministrazione non è un tutt’uno con la qualità di socio, ma può essere svolta da soggetti estranei.
All’interno delle società di persone, in genere, il potere di amministrare risulta essere un requisito essenziale, strettamente collegato alla qualità di socio e di norma “spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”, ex art. 2257 c.c. . L’amministratore risulta essere per buona parte della dottrina non un organo della società, ma un soggetto incaricato dagli altri di gestire l’attività sociale, alla stregua di un institore o di un mandatario della società.
La maggior parte della dottrina ritiene però di non poter accettare questa interpretazione dato che non si può negare, anche nelle società di persone, l’esistenza di organi molto simili a quelli che esistono nelle società di capitali.
Buona parte degli studiosi di diritto tendono a sottolineare che l’amministratore di società di persone non è un soggetto legato agli altri soci da un rapporto di mandato, ma un organo sociale pieno, che come principale caratteristica ha quella di essere compenetrato direttamente con la qualità di socio.
Il soggetto giuridico che esercita il potere all’interno della società è l’amministratore che del resto lo manifesta anche all’esterno nei casi in cui esso è dotato di rappresentanza. Egli è quindi nella possibilità di compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, tutte le volte in cui essi siano necessari e utili per il conseguimento dell’oggetto sociale.
In particolare vi è da dire che il potere di amministrazione nelle società di persone può essere limitato dal diritto di veto che spetta a ciascun socio amministratore, al fine di opporsi a tutte le operazioni che un altro voglia compiere.
Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli amministratori, occorre dire che essi, in relazione a quanto prima affermato, sono stabiliti dall’art. 2260 c.c. comma 2 che recita testualmente: “gli amministratori sono responsabili solidalmente verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale”.
Occorre comunque precisare che il principio della responsabilità non viene esteso a tutti coloro che riescono dimostrare di essere esenti da colpa. La responsabilità dei soggetti amministratori è relazionata direttamente alla società e quindi tende alla ricostruzione del patrimonio sociale eventualmente danneggiato.
Per ciò che riguarda i diritti è importante sottolineare che il primo diritto dell’amministratore risulta essere quello del potere di amministrare, mentre buona parte della dottrina ancora oggi discute sull’eventuale diritto dell’amministratore di percepire un compenso per l’attività svolta.
L’amministratore, nell’esercitare il proprio potere, non ha limiti di contenuto oltre a quelli coincidenti con l’oggetto sociale. Egli può compiere, infatti, atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, trovandosi limitato solo dal corrispondente esercizio del potere da parte degli altri soci.
Come già in precedenza detto, la nozione di amministratore non è facilmente definibile a priori, se non in stretta funzione dell’oggetto e nell’interesse per il quale tale oggetto viene attuato, trattandosi dell’esercizio non di singoli atti ma di un’attività che viene in ogni caso svolta nell’interesse altrui
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